Delfina, la prima donna sul Corno Stella

È il 13 agosto 1923 quando Delfina Bosio varca l’uscio del Rifugio Lorenzo Bozano, nel cuore delle Alpi Marittime, pronta, forse inconsapevolmente, a scrivere un pezzo di storia dell’alpinismo. Con lei ci sono suo marito Giuseppe Bosio – che morirà prematuramente due anni dopo – e l’amico Mario Bordone.

Il sole albeggia, le vette frastagliate si tingono lentamente di rosa, mentre fitte nuvole bianche, che paiono soffici cuscini, coprono il fondovalle; tutto intorno regna il silenzio, solo lo scroscio dell’acqua che sgorga dalla vicina sorgente echeggia nell’alto Vallone dell’Argentera.

Alle 6:00 è tempo di andare. I tre della sezione CAI di Torino iniziano la traversata della conca detritica alla base dei 500 metri di parete del Corno Stella: devono raggiungere il punto di attacco della via aperta il 22 agosto 1903 da De Cessole insieme alle guide Plent (di Saint Martin Vésubie) e Ghigo (di Valdieri). 

La partenza è su una placca lunga 70 metri con una pendenza che va oltre i 45°. Sebbene ci siano buoni appigli, l’ascesa è piuttosto delicata, richiede molta concentrazione e una buona tecnica. Uno dopo l’altro raggiungono la famosa vena di quarzo, il tratto distintivo del Corno Stella, una linea color latte che taglia la parete in diagonale, ben identificabile dal Rifugio Bozano e in altri punti della valle molto più distanti. 

Con passo sicuro proseguono lungo il camino che li conduce al “mauvais pas”, il tiro più impegnativo di tutta la scalata, il passaggio chiave: 25 metri su una lastra di roccia biancastra. Anche qui è una danza di movimenti ben pensati su tacche e piccoli piedini. Mario Bordone sale per primo e con estrema concentrazione e abilità raggiunge il plateau sovrastante, dove trova due chiodi per la sosta. “Dopo alcuni minuti Bosio mi raggiunge, seguìto rapidamente dalla sua Signora, alpinista ardita ed intrepida alla quale tributiamo tutta la nostra viva e meritata ammirazione.” racconterà Mario nella Rivista mensile del Club Alpino Italiano nel novembre 1924 (pag. 281).

Proseguono lungo un camino ripidissimo fino a ritrovarsi in tre su una piccola sporgenza tra due placche lisce. La sosta è precaria e instabile: è tutto un gioco di equilibrio e di buona distribuzione dei pesi, sotto i loro piedi si apre un abisso vertiginoso. Con qualche acrobazia riescono a piantare un chiodo che consente loro di diminuire le probabilità di caduta al primo movimento azzardato e di guadagnare tempo per la valutazione delle prossime mosse da intraprendere. Assaliti da forti dubbi su come procedere, estraggono dallo zaino la Guida delle Alpi Marittime di Giovanni Bobba (1908); Delfina legge la relazione ad alta voce: “da esso devesi continuare a salire sulla parete con marcia di fianco a destra sempre sopra il precipizio.” Con il naso all’insù si mettono ad analizzare la scena davanti ai loro occhi: il muro riportato nel testo è molto verticale e gli appigli paiono quasi inesistenti. Preoccupati dalla situazione, decidono di creare una variante del percorso di De Cessole. Solo al loro ritorno scopriranno dalla guida alpina Ghigo che la relazione di Bobba riportava un dettaglio errato: la placca di 60 metri doveva essere superata salendo la parete con marcia di fianco a sinistra e non a destra.

Decidono di puntare direttamente alla cresta superando inizialmente un alto lastrone con una fessura obliqua nel primo tratto, poi una cengia inclinata. Infine, risalendo alcune placche a destra, giungono a un canalino dal fondo erboso con buoni appigli: il varco al plateau sommitale. 

Dopo aver percorso gli ultimi comodi 80 metri che collegano il punto di uscita della via al loro obiettivo, alle ore 13 conquistano emozionati la vetta. Sono finalmente di fronte alla piramide di roccia con incastonati i biglietti degli alpinisti che li hanno preceduti, a 3.053 metri d’altitudine. 

Cinque spedizioni si sono susseguite dal 1903 al 1914. Dopo nove anni di silenzio, sono i primi a solleticare la vetta del Corno Stella. È un momento di festa, specie per Delfina, che è ufficialmente la prima donna ad aver raggiunto la cima di questa severa e imponente montagna.

La vista da lassù è grandiosa, quasi ipnotica, ma è tempo di tornare a valle. Alle 14:30 i tre iniziano la prima delle venti calate in corda doppia che li riporterà alla base della parete. Col susseguirsi delle manovre, le mani iniziano a bruciare, ma il ricordo dell’impresa, non del tutto ultimata, è già vivo e forte in loro e li motiva a resistere e a persistere.

Giunti al rifugio, è tempo di festeggiamenti. In alto i bicchieri: evviva Delfina, prima donna sul Corno Stella! Evviva alla nuova variante della via De Cessole!

Disegno di Mario Bordone nella Rivista mensile n. 11,  anno XLIII, del Club Alpino Italiano, pubblicato nel novembre 1924 (pag. 281)


Nonostante una fitta ricerca, non sono riuscita a reperire informazioni più approfondite su Delfina – invito chiunque ne sia in possesso a contattarmi. Molto probabilmente nacque sul finire dell’Ottocento e il cognome, come si evince dal racconto, è quello del marito Giuseppe. Apparteneva alla sezione Cai di Torino ed era un’alpinista molto abile e preparata. Indagando tra le riviste mensili del Cai dell’epoca, ho trovato altre due sue ascese degne di nota:

  • 7 settembre 1923: Aiguille Ravanel (3.696 m), Catena del Monte Bianco, sottogruppo Aiguille Verte. 1°ascensione italiana, 1° ascensione per la parete NO senza guide e portatori. Insieme a  Giuseppe Bosio e Mario Bordone;
  • 21 settembre 1924: Forcella dell’Argentera (3.240 m). Insieme a  Giuseppe Bosio e Mario Bordone.

È bene ricordare che a quei tempi erano poche le donne che praticavano l’alpinismo. Questa disciplina, infatti, era prettamente maschile per motivi legati alla società e alla mentalità dell’epoca. Le donne erano considerate le custodi del focolare, dovevano procreare e occuparsi dei figli e non dilettarsi in montagna. Anzi, si pensava addirittura che l’alpinismo potesse compromettere la maternità. Va da sé che il nome di coloro che parteciparono a queste grandi imprese – in alcuni casi – venne messo in ultimo piano o addirittura omesso. Le informazioni a nostra disposizione quindi sono poche e frammentarie.

Chissà cosa voleva dire essere un’alpinista in quegli anni? 

Chissà cosa si provava a essere la prima donna in vetta a una montagna considerata dai più inaccessibile?

Forse non riusciremo mai a leggere il diario o le lettere di Delfina in cui raccontava questa esperienza, ma vorrei, nel mio piccolo, dedicarle un ricordo, affinché sia d’ispirazione ad altre piccole grandi alpiniste.

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